Muto, il chiodo della ruggine
non allerta più il vicino di casa
anch’egli smarritosi
per le strade del mondo.
Non si ode il violino cigolare
al castagno delle porte,
non trema nell’angolo
la palpebra di luce al ritrattodegli antenati,
né riposa il lievito
nella creta di antica eucarestia
coperta con foglia di fico.
Le porte sono chiuse con chiodi di bare,
anche il lattaio
che apriva il giorno delle attese
non chiama i nomi delle scodelle,
da tempo hanno perso gli occhi
anche i passeri dei buchi delle case,
egli ultimi pallori dei numeri delle porte
ele strade hanno smarritoi loro nomi.
Restano ricordi di smalti sdentati
nel bluastro che orlava biancori invecchiati di lune.
Orfani di sguardi gli ultimi languori
hanno lasciato impronte di fiochi notturni
di luciin attesa di qualcuno, ma su qualche muro
per oltranza di coraggio, resiste
il bianco disperato di un alfabeto di calce
nell’ultimo generoso gridodi una epopea contadina,
singhiozzo di consonanti, ultima bellezza
che merita una lacrima.
Capo d’Orlando, maggio 2019
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